lunedì 17 novembre 2008

8. Elezioni primarie nel Partito Democratico.

Cari amici tutti,
quando tra i miei conoscenti si è sparsa voce sulla mia candidatura al regionale del partito democratico più di qualcuno mi ha chiesto: perché il Partito Democratico?
E' una domanda che esige una risposta per me non semplice da esprimere, ma che non posso esimermi dal dare. Gli elementi di cui mi sono sono servito per decidere riguardo alla forma da dare alla mia partecipazione politica sono due: uno ha a che fare con il mio punto di vista sul rapporto tra classe dirigente di un partito e la sua base, l'altro ha a che fare con la ricerca di un giusto spazio da dare a specifici contenuti di un programma politico. Cominciamo col primo punto. I dirigenti di un partito dovrebbero avere come prima ragione di essere, quella di rappresentare le istanze di coloro che lavorano alla base del partito. Forse a generare confusione su ciò, è il termine "leader" (piuttosto che "rappresentante") con cui spesso si definisce il dirigente di un partito. Un leader guida, un delegato o rappresentante, rappresenta. Ma le cose non sono così semplici. In effetti un rappresentante di un partito ha anche il compito di restituire al movimento che sta rappresentando, una immagine di sé che il movimento non può naturalmente avere. Chi lavora su un certo territorio ha difficoltà a dare una dimensione alle necessità presentate da chi lavora in un altro territorio. Questo fa sì che si guardi al dirigente aspettandosi da lui una sintesi rispettosa di tutte le istanze però pervenute dal territorio, dalla base appunto. Quindi un rappresentante di tutta la comunità normalmente è percepito in parte come altro, in parte come un proprio delegato. Un dirigente siffatto è un "uguale a tutti", solo con una prospettiva più completa della situazione conformemente ai valori generali del movimento che rappresenta. Senonchè spesso si è avuti il sentore che i dirigenti di un partito approfittassero in realtà della loro posizione (e del ruolo affidatogli di fare "sintesi") per garantirsi una continuità indefinita in posizioni di dirigenza, ma anche che ne approfittassero per garantirsi privilegi, per fare strani "magheggi", ed infine per proteggersi (magari facendo sopravvivere o vincere un avversario peggiore di loro...).
Che fare allora? Non credo che la cosa migliore per il momento sia passare completamente ad altri partiti o movimenti, per almeno due ragioni. Perché non hanno ancora spesso un radicamento sul territorio che non può esprimere ancora rappresentanti, e si fondano ancora troppo sulla figura del proprio leader. E perchè gli altri partiti si possono comunque votare a livello nazionale. Mi esprimo meglio. Ci sono Leaders che senz'altro rappresentano meglio gli umori della base, ma che lasciano il proprio movimento, così legato al leader, in uno stato di perenne precarietà. Per esempio, quando hanno attaccato Alfonso Pecoraro Scanio, hanno distrutto un movimento che io stesso consideravo come un riferimento. A suo tempo con Craxi accadde lo stesso. Oggi senza Bertinotti, Rifondazione è tutta da fare. E con Mastella? L'Udeur non si è neanche presentata alle ultime elezioni. In quell' occasione ricordo di aver ascoltato la frustrazione di chi aveva tanto lavorato per il partito per poi essere costretto a ricominciare daccapo altrove. L' 8 luglio io ero a piazza Navona per il No-Cav day, sono corso a firmare per il referendum contro il decreto Alfano, tutti i giorni seguo il blog di Beppe Grillo e sostengo le sue iniziative, ma non sono sicuro che la cosa migliore sia quella di abbandonare la lotta normale e perenne per la democratizzazione del partito. Quello che a mio avviso si può fare, e vengo alla seconda ragione, è partecipare alla base con il partito più grande di riferimento, e votare alle nazionali altro, qualcuno che sconfessi i vertici del partito stesso (come appunto Di Pietro o Claudio Fava, Nencini, Ferrero, Radicale ecc...), accentuando la necessaria frattura tra vertici e base. Naturalmente in attesa che dalla base emerga una migliore classe dirigente, che non diriga più di quanto non rappresenti cioè. Questo a mio avviso è oggi la cosa migliore da fare.
Il secondo punto era sui contenuti della nostra battaglia. Io condivido il legalitarismo (oggi chiamato dispregiativamente "giustizialismo"), la libertà nell' informazione, la decrescita come nuovo orientamento allo sviluppo (scusate l'apparente doppio senso), una maggiore giustizia sociale, la laicità delle istituzioni, soprattutto della scuola e quindi la necessità di una scuola pubblica. E questi punti non sono ancora troppo difformi dallo spirito del Partito Democratico.
I...In sezione in questi giorni, tra le tante delusioni, ho visto anche qualcosa di veramente buono. Ho visto dei giovani che mi hanno sostenuto senza chiedermi niente, e soprattutto senza obbedire a nessuno, pronti a lottare dalla parte della gente e dell'ambiente. Dovreste vedere la determinazione con cui mettono da parte il loro tempo per discutere la sera su come fare, e per cercare voti anche per me che in fondo sono l'ultimo arrivato. E' anche vedendo loro che ho capito che avrebbe avuto senso per me lottare ancora almeno a livello locale nel Pd.

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