domenica 25 gennaio 2009

10. Spunti per un programma per Fonte Nuova

Schema riassuntivo dello scritto:

1-Come sviluppare il programma in maniera aperta in rete.

2-Le ragioni di un programma diverso (punto 1 nello scritto).

3-I contenuti generali di un programma alternativo (punto 2 dello scritto)

4-Le nostre specificità come territorio e quindi i punti di un programma costruito su queste (punto3)

Un'altra idea di Fonte Nuova

Come è stato detto anche nei commenti del principale blog della nostra cittadina, fare un programma non significa fare una lista di tutto, e né solo, aggiungo io, di quello che viene percepito come urgente dalle persone. Infatti un programma che annunciasse servizi, fogne, luoghi di aggregazione senza chiarire come si realizzeranno, il “costo” non in denaro ma rappresentato dagli effetti delle scelte non dette nel programma potrebbe nascondere una licenza a fare cose che compromettano persino i stessi benefici di quei servizi. Tutti noi in fondo se siamo qui è per dire anche che ci sono diversi modi di fare le stesse cose. Procederemo classicamente quindi, dal generale al particolare per capire come fare meglio proprio le cose più urgenti.

La “scelta quadro” per decidere un programma cade, a mio avviso, su due alternative distinte:

1- Uno sviluppo di Fonte Nuova come area metropolitana.

2- Uno sviluppo orientato dai principi della decrescita e della qualità della vita.

Della prima posizione dirò solo ciò che serve per descrivere i vantaggi della seconda scelta. Dopotutto sono già molti i paladini della prima scelta, e più o meno tutti i programmi visti finora ne sono una espressione, mentre mi pare che una proposta coerente costruita sulla seconda idea sarebbe ad oggi ancora una novità che presumibilmente troverà ben pochi difensori in certi tipi di ambienti...Tra di noi non ci sono purtroppo sociologi od urbanisti, ma difendiamo anche qui “la felice versatilità” e cioè un assioma della democrazia di origini molto antiche e nobili secondo il quale tutti sono in grado di comprendere nel suo complesso il funzionamento di una comunità e quindi di esprimere sensati e pertinenti giudizi. Questo a livello individuale. C'è poi una sorta di “sapere collettivo” cioè un sapere che, per così dire, aleggia sulle nostre teste, ed è composto dall'insieme dei contributi in termini di singoli giudizi, di idee, punti di vista e competenze di tutte le persone che inconsapevolmente a volte partecipano alla formazione di una coscienza collettiva, di un grande pensiero. Ed Internet ci aiuta a fare questo meglio, in maniera pubblica ed inclusiva. L'idea quindi è di fare col presente post una descrizione generale della proposta numero 2 e poi correggerla, modificarla e corredarla di dati insieme, attraverso i commenti al post, ovviamente aperto a tutti. Quando si avrà una congrua quantità di informazioni, cercheremo di riscrivere il tutto in maniera sintetica ed il più possibile organica. E poi di nuovo daccapo se sarà necessario. E cosi...

Fare un uso responsabile del territorio vuole dire per noi tener conto di questi imprescindibili fattori:

1- Il ruolo che ineludibilmente può giocare una comunità locale nella sfida rappresentata dalla lotta al cambiamento climatico e dalla necessità di adottare stili di vita che tengano conto della scarsità delle risorse del pianeta.

2- L'esigenza di uno sviluppo che assicuri a tutti una quanto meno accettabile qualità della vita. La qualità della vita è un parametro sintetico di diversi fattori, dall'arredo urbano alla qualità dei servizi, dalla qualità dell'aria che respiriamo allo stato di integrazione delle componenti culturali presenti sul territorio ecc..

3- Le nostre specificità come Comune. Cioè le nostre aree protette, il nostro patrimonio boschivo, paesaggistico, le nostre estese (per il momento) campagne destinate all'agricoltura. La nostra prossimità a Roma, fatto da trasformare da limite ad opportunità. Ed infine una nostra zona industriale e la prossimità a diverse zone industriali dei comuni circonvicini.

Circa il punto 1 ci sarebbero molte cose da considerare. Ma per abbreviare, ci sono delle voci che contrariamente a quanto sostiene la grandissima parte della comunità scientifica, vorrebbero promuovere un ambientalismo “moderato”, senza inutili allarmismi. In vario modo queste voci interpretano le avvisaglie rappresentate dal costante aumento della temperatura rilevata dall'inizio del secolo ad oggi, lo scioglimento dei ghiacciai, le desertificazioni ecc..ma sempre finiscono per gettare confusione nei dibattiti pubblici a danno di una decisa reazione collettiva al problema. Qualcuno potrebbe pensare che il tentativo di costoro di disinnescare gli effetti dell'angoscia della catastrofe deve essere fatto in buona fede dato che gli scienziati anticatastrofisti abitando con noi sullo stesso pianeta condividono con noi anche la stessa sorte. Senonché si è scoperto come questi interventi abbiano una cerca contiguità non solo con gli interessi presenti di alcune lobbies organizzate e presenti anche all'ONU (come la Climate Coalition braccio dell' OPEC, l'International Petroleum Industry Environmental Conservation Association, il Transatlantic Business Dialogue, l'International Emission Trading Association, ecc..) ma anche con gli interessi futuri e comuni di questi gruppi di potere che cercano anche loro da qualche tempo di trovare il modo di trasformare in sviluppo economico i danni arrecati all'ecosistema. Perché non vi sembri fantascienza politica, vi rimando all'interessante articolo comparso su LaRepubblica nel giugno dell'anno scorso, reperibile nell'archivio on-line del giornale (digitare sul motore di ricerca le parole: think tank, Bush, grandi opere, inquinamento..). E' un fatto che stiamo andando incontro ad una situazione ambientale gravissima, e ad una crisi economica tremenda, che cambierà la nostra quotidianità volenti o nolenti. E sarebbe quantomeno sciocco non organizzarsi con quello che può essere fatto, con le risorse che abbiamo come comunità ora, per affrontare al meglio questi cambiamenti. C'è anche un'altra considerazione da fare, di ordine più schiettamente morale e che ci vede da molto tempo imputati davanti alla storia e alle generazioni future. Spesso in Chiesa se ne dimenticano...Noi, con la nostra opulenza, e con l'inerzia ad un cambiamento possibile siamo da anni i maggiori responsabili dalla fame, della morte di migliaia di persone nelle zone povere del mondo. Vivere come rappresentanti-protagonisti di un sistema che arreca tali e tanti danni a una così larga parte dell'umanità, rende ogni carità inutile dal punto di vista dei risultati e dunque ipocrita. Che attraverso delle politiche responsabili da attuare nelle comunità locali si possa dare per ora l'unico contributo che conti veramente nel tentativo di trovare una soluzione dei problemi presenti e futuri di questo genere non lo dice un ragazzo idealista, ma sociologi del calibro di Zygmunt Bauman, filosofi come Arne Naess (che ha coniato il famoso slogan “Think globally act locally”) e tanti altri, i quali interpretando i tempi, hanno dato origine ai maggiori movimenti di pensiero politico delle ultime decadi. L' organismo che difende quest'onda è per cominciare l'ONU che ha prodotto insieme a diverse commissioni di esperti governativi e della società civile, vari documenti di cui i più famosi sono “La Carta della Terra” e la “Agenda 21”. Vi invito a cercare su Wikipedia i documenti citati, e a cercare in rete anche parole come Glocus, Word Social forum per farvi una idea della vastità del numero di organizzazioni che operano per questi obbiettivi. Con queste realtà sullo sfondo arriviamo al punto 2. La qualità della vita risponde prima di tutto a fattori di tipo soggettivo. Così come molti dei giudizi sul bello e sul buono, la qualità della vita è legata alla “percezione” dei fatti che è personale. E questi risentono naturalmente del sentimento dominante della comunità che si vive, ma c'è poco di oggettivo nei criteri che vengono adottati per valutarne lo stato. Tuttavia come riferimenti per noi sono andati consolidandosi modelli pensati a partire dalla storia di alcune cittadine dell'Europa generalmente del nord, ma anche italiane, e sono modelli che tengono conto dei contenuti del punto 1. Questi Comuni che hanno espresso fattori di alto gradimento da parte dei cittadini sono ad es.: Parma, Ferrara, Bologna, Verona e tanti altri. Alcuni di questi, in Italia, si sono organizzati per dare vita ad uno scambio di buone prassi attraverso l'associazione “Comuni virtuosi”, della quale potete trovare molto in rete. Ma il riferimento principale per noi in Europa rimane gli “Alborg Commitments”, la carta di Alborg, e la carta dei sindaci firmata a Ferrara. Il nostro comune si è inserito in uno di questi circuiti di scambio di pianificazione e buone pratiche diventando membro dell'associazione “Qcities”, per la quale ha anche ritirato ufficialmente il premio a Bruxelles destinato alle migliori associazioni impegnate nel fronte della progettazione della qualità della vita delle aree sub-urbane. Insomma degli standards che potrebbero essere accettati anche da noi ci sarebbero...Tutte queste iniziative infine fanno capo in Italia al “Coordinamento italiano dell'Agenda 21”, di cui trovate tutto anche qui in rete. Vi segnalo i video che sono su youtube delle interviste ai membri di “Comuni virtuosi”, in particolare quella al coordinatore dell'associazione e assessore del comune di Colorno Marco Boschini. Alcuni di questi video e documenti sono “linkati” nel blog del nostro gruppo giovani www.giovanipdfontenuova.blogspot.com. Fondamentalmente questi criteri-guida sono quelli che garantiscono la maggiore libertà positiva (di realizzazione) possibile ai cittadini della città fatti considerando i vincoli costituiti dalla vocazione “naturale” della città. Servizi quindi, assolutamente per chi deve spostarsi, per le famiglie, per il tempo libero, per le esigenze culturali e ludico-sportive. Ristrutturazioni delle unità abitative, riqualificazioni dei quartieri e centri urbani con criteri condivisi, punti di aggregazione giovanili, servizi per anziani, qualità dell'aria, spazi verdi, autoconsumo (cioè il consumo di prodotti locali che garantiscono una maggiore qualità, minor uso di conservanti, miglior monitoraggio e controlli diretti dei consumatori ecc..), e così via, il tutto nella forma che in maniera più coerente esprime il carattere della cittadina che siamo chiamati a decidere insieme tra le due alternative di sviluppo economico del territorio. E questo è il punto, un maggior livello di qualità della vita è garantito senz'altro dal modello sostenuto dagli organismi e associazioni appena citati nella descrizione del punto 2, i quali hanno come riferimento Comuni dove le cose sono cambiate anche in tal senso e che danno allo stesso tempo il miglior contributo possibile alla lotta all'inquinamento, all'esaurimento delle risorse del pianeta, alle ingiustizie generate dal divario tra nord e sud del mondo. E riscoprendo l'agricoltura si stanno anche preparando a reagire ai nuovi scenari opposti dall'economia in tempi di globalizzazione. E quindi arriviamo al punto 3. Noi abbiamo estese campagne e siamo vicini a Roma, abbiamo anche potenzialmente interessanti siti archelogici che potrebbero attrarre visitatori, abbiamo delle belle colline e un più che apprezzabile paesaggio (i recenti abusi lo hanno compromesso un pochino, ma c'è il modo di far si che venga ridotto l'impatto ambientale di tali immobili con un ciclo di ristrutturazioni..), abbiamo la zona industriale a Santa Lucia e un facile possibile accesso alle zone industriali di Monterotondo Scalo (attraverso il prolungamento di via XII Apostoli) e di Roma (l'importantissimo polo sulla Tiburtina), abbiamo spontaneamente già avviato un importante circuito recettivo (quello rappresentato dalle numerose case di riposo anziani), e abbiamo dei coraggiosi produttori locali di prodotti alimentari (Olio di Oliva, formaggio, miele..). Sicuri che vogliamo compromettere quel poco di buono che abbiamo invece di svilupparlo, e continuare a costruire come si sarebbe fatto col positivistico ottimismo degli anni '70? E' bene che si sottolinei con ogni evidenza: o si cambia in senso veramente ecologico o si continua a costruire. Non c'è una terza via, una sintesi possibile. Chiunque sostenesse di voler fare tutte e due le cose se non inganna, sbaglia. Se su un ettaro di terra si costruisce una palazzina (anche per max.40 persone), si lascia spazio per i parcheggi e per un giardino, cos'altro rimane di utile ad un grande progetto ecologico? L' alternativa è che si produca reddito per i residenti attraverso uno sviluppo della produzione locale di beni derivanti dall'agricoltura, dall'artigianato e dalle imprese commerciali e industriali. E sviluppare quindi una vocazione alla ricezione (agriturismi, ristoranti, case anziani..). Infine vendere tali beni e offrire tali servizi a Roma. Provocatoriamente, per risolvere lo scomodo problema del traffico, non occorrono nuove strade, basterebbe creare in questo modo lavoro duraturo in loco. Si toglierebbe a un certo tipo di costruttori anche il loro più grande alibi, quello di continuare a costruire per offrire abitazioni ad un prezzo minore alle giovani coppie di Fonte Nuova. Se si producesse reddito veramente sul nostro territorio e si dotassero i ragazzi di Fonte Nuova di lavori con guadagni decenti questi sarebbero in grado di comprarsi la case che normalmente si liberano (perché ad un certo punto muore il proprietario e i figli vendono) o che potrebbero liberarsi con una politica che renda sicuri gli investimenti di chi vede al momento le rendite per locazione come l'unica rendita sicura. Insomma io proprietario di una casa in affitto se ce ne fosse l'opportunità venderei più volentieri casa per impiegare i capitali in qualcosa che mi offre maggiori prospettive di guadagno della sola rendita di locazione. E il Comune senza nessun problema potrebbe anche organizzare dei piccoli fondi di investimento per le attività locali. Naturalmente per arrivare a ciò occorre porre un freno deciso all'utilizzo di capitali nell'edilizia e, nell'attesa che i capitali vengano convertiti dalla loro destinazione presente a una migliore futura (industria, commerciale, recettiva ecc..), impiegarli in un grande ciclo di ristrutturazioni. E il Comune potrebbe offrirsi come garante per l'erogazione di credito per le ristrutturazioni laddove necessario. Anche qui se si continuano a costruire nuove unità abitative non si può ristrutturare e riqualificare quello che c'è, per il semplice fatto che il guadagno derivante dalla costruzione e vendita di nuovi immobili è molto maggiore di quello ricavabile dalle ristrutturazioni. Quindi per una famosa e legittima legge dell'economia, la ricerca del profitto dell'imprenditore, nessun costruttore troverebbe conveniente il dedicarsi a ristrutturare l'esistente e possiamo aspettarci che nessuna impresa edile si abbasserà a farlo.

Bisogna dire che Enzo Magnarella ai tempi del suo assessorato alle Attività Produttive aveva tentato un salvataggio dei produttori locali, ma per cause a me ignote ha dovuto rassegnare le dimissioni. Così che già oggi ci troviamo in grande ritardo su questo fronte. Il Sindaco uscente Vittori ha ritentato attraverso un approccio culturale con l'associazione per la qualità della vita, ma alla conferenza, ma la cittadinanza e il partito prima degli altri non era presente.

Qualcuno sostiene che i ragazzi non vanno a “zappare la vigna”...e che uno sviluppo dell'agricoltura sia pura fantasia. A costoro rispondo prima di tutto che ci sono anche altre forme di impresa da sviluppare nelle zone industriali, e poi che in una struttura tipo la Coldiretti locale e in occasione di conferenze pubbliche avute in luogo, non si riesce assolutamente ad avere notizia dei possibili guadagni ricavabili dalla terra. Dal momento che ho un piccolo pezzo di terra anche io, ho dovuto faticare per trovare delle informazioni su come potesse rendere lavorarla. Se è vero (e non ne sono affatto convinto) che i ragazzi sono riluttanti a coltivare la terra, forse è per il fatto che ciò che servirebbe loro per prendere una iniziativa gli viene da un sistema non progettato per questo, che ha avuto interesse a che i ragazzi si impieghino in un altro modo. In alcuni paeselli di Italia, lavorare la terra è fonte di ottimo guadagno per il coltivatore, e di soddisfazione per tanti ragazzi da me personalmente conosciuti. Alla fine delle mie ricerche ho scoperto, tanto per dare un dato, che un ettaro di terra coltivato a vite fornisce circa 15 mila euro di ricavo netto dalla sola vendita dell'uva. Il che è stato per me una vera sorpresa. I guadagni salgono di molto se ci si dedica alla coltura dei piccoli frutti tipo mirtillo, lamponi ecc...Il punto è che personalmente non ho il know how, ma so che a Fonte Nuova c'è, occorrerebbe coinvolgere le generazioni ora in quiescenza che saprebbero come fare. Insomma non è affatto vero, secondo me, che i giovani non vogliono lavorare la terra, è vero invece che nessuno si sia finora preoccupato di fornire la cultura, le politiche e le informazioni necessarie allo sviluppo in tal senso dell'impresa, e le giuste indicazioni delle prospettive di guadagno.

Un ultimo scoglio per quelli come me, è rappresentato dall'obiezione di chi anche timidamente difende il modello 1. Si dice che attraverso l'applicazione di quella che viene chiamata “Pianificazione urbanistica concertata” (o “integrata” o con una dicitura meno tecnica e più ambigua “Valorizzazione attiva del territorio”) si possono procurare alla collettività dei vantaggi in termini di servizi. Praticamente questa soluzione consiste in una trattativa tra il Comune ed il privato che intende edificare su un lotto di terreno. Il Comune scambia col privato, concessione in cambio di servizi. Il Comune ti da il permesso di costruire e tu in cambio costruisci le fogne, rifai le strade o lasci lo spazio per i parcheggi, giardinetti e così via. Io sono d' accordo all'applicazione di questo strumento amministrativo solo a condizione che non si comprometta il percorso della cittadina verso il modello 2. Ovvero quando si può e col massimo rigore. Quando non si può, con le risorse pubbliche piano, piano, come meglio possiamo. Ma mi preoccupa una cosa in tutto ciò...sicuro che non ci sono mezzi alternativi per costruire i servizi? Possibile che non ci siano altre soluzioni possibili tra l'esclusivo impiego di risorse pubbliche e la “concertazione” comune-privato? Secondo me c'è, ma frettolosamente siamo stati trascinati anche qui da una prassi discutibile a non cercare altri modi di fare le cose. Faccio un esempio. Ogni anno l'associazione di Santa Lucia che organizza la festa della Sagra delle Rose riesce a mobilitare attraverso sponsors locali e delle banche oltre 110. 000. Solo dai privati quindi senza l'intervento del Comune. Ora, se a qualcuno venisse in mente di chiedere ai commercianti (ad esempio), in generale ai nostri imprenditori di contribuire con uno sponsor alla costruzione di un nido, o di un centro di aggregazione giovanile o altro di questo genere con l'impegno per il comune a tenere esposto il logo del donatore per un certo periodo di tempo alla vista dei giovani o delle famiglie...sicuro che non si riesca a raccogliere qualcosa degno di attenzione? Secondo me si raccoglierebbero molte risorse “pulite”, molte di più di quelle che si possono raccogliere per una festa. Così il comune può utilizzare le risorse pubbliche per fare il resto che è meno visibile, fogne e parcheggi...Insomma, concludendo, quello che generalmente appare come un problema in realtà è risolto a monte solo rifiutando una mentalità e adottandone e difendendone un'altra. Rispettosa dell'ambiente, degli essere umani meno fortunati, delle nostre future generazioni e a vantaggio della qualità della nostra vita letta e vissuta restando tutti più legati al territorio che ci ospita.

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